Unione civile omosessuale tra cittadino italiano e cittadino extracomunitario: un caso “senza precedenti” dimostra come sciogliere i nodi della burocrazia internazionale

Un cittadino italiano può formare una unione civile con una persona dello stesso sesso proveniente da un paese extra UE? Quali sono le insidie burocratiche in caso di provenienza da un paese considerato a rischio migratorio e che non riconosce alcuna forma di unione tra individui dello stesso sesso?

L’istituto giuridico dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, così come introdotto nell’ordinamento italiano dalla legge n. 76/2016 (c.d. legge Cirinnà), è aperto anche ai cittadini stranieri, in applicazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione italiana.

Si sa, però, che talvolta tra l’enunciazione letterale delle norme e la loro attuazione concreta il passo può essere molto lungo.

Infatti, esclusa la possibilità di costituire l’unione civile fra individui dello stesso sesso presso la sede dell’autorità diplomatica italiana operante nel paese extracomunitario, affinché l’unione possa avere luogo in Italia, il cittadino straniero – salvo provenga da un paese che beneficia dell’esenzione da visto per brevi soggiorni – dovrà munirsi di un visto d’ingresso per l’Italia. Tuttavia, se da un lato – in considerazione del suddetto rischio migratorio, e in assenza dei requisiti fondamentali per il rilascio di un visto turistico nazionale o per area Schengen – con ogni probabilità lo straniero si vedrà rigettata la domanda di visto turistico per l’Italia, dall’altro lato lo stesso non potrà proporre domanda di visto “per ricongiungimento familiare”, essendo richiesto, a tal fine, che il legame familiare a sostegno della domanda sia già esistente.

La situazione paradossale appena descritta è esattamente la stessa che lo Studio Legale Stornelli si è trovato ad affrontare con successo nel corso del 2018.

Il caso concreto, dapprima inutilmente sottoposto all’attenzione del personale amministrativo impiegato presso l’ufficio dello stato civile di un comune della provincia pugliese, è stato definito “senza precedenti analoghi” dalle autorità italiane e straniere successivamente coinvolte.

In conclusione, per sciogliere la matassa burocratica si è dimostrata fondamentale la tenacia della coppia interessata, che, nonostante l’incertezza dell’esito e le innumerevoli insidie incontrate, non ha mai smesso di lottare per realizzare il proprio sogno. Oggi la coppia è unita civilmente e vive felicemente (e regolarmente) in Italia.

Questa storia a lieto fine è una testimonianza dei passi in avanti che l’Italia ha mosso verso il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, così come affermati dall’art. 2 della nostra Costituzione, ma è anche l’occasione per riflettere su quanto ancora serva lavorare affinché la titolarità formale dei diritti possa coincidere con la facilità di avvalersene in concreto.

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